Il mercat0

 

La fonte singhiozzava. Ivana fu accompagnata da Igor alla clinica segreta dove avrebbe dovuto abortire.

Riappropriarsi del suo corpo… Riscoprire il diritto a una maternità consapevole. Liberarsi, riaffermare che: “il corpo è mio e lo gestisco io.”

Igor  la istruiva con i barbagli confusi di una dottrina appresa al tepore dei marciapiedi di pietra. I campi attorno laceravano il vento riunito alle corti di biada. Il silenziatore della notte aveva innalzato fantasmi verdi che alitavano dietro le sbarre di una ferrovia sonnacchiosa. Oltre, viaggiava gente sbiadita, camici multicolori.

“Il dominio capitalista, la veste maschilista attorniava il tuo corpo estremo. Lacerare gli artigli riposti nei viottoli afosi. Rinunciare. Spogliarsi di una carne estranea, di confusi artigli di dolcezza intrusa, di abusivo sentimento.”

Igor veleggiava sulle coste trasognate delle isole dell’ago e del carro. Le stanghe erano depositate su una terra guardinga. I cigli astrusi di fossili antichi traversavano le sabbie smunte del ricordo. Inutile parlare. Travestimenti alieni.

“Gli artigli su di me. Una carne violenta. Una carne non mia. Una macchia che lacera le mie vene…. Uscirne… Tornare pura, tra i viottoli stanchi di una penombra… Devo affermare la mia libertà.”

Ivana si appoggiò al muretto e si prese la testa tra le mani. Un soffio di vento la punse con un ago di pioggia, con un pizzico di salata dolcezza. Dov’era il suo uomo? La lotta animalista, anticapitalista e antimperialista, il negozio di ferramenta, la poesia.

Igor trasaliva. “Perché la poesia non ha mercato?” 

Ivana sosteneva: “Nella poesia c’è la verità e la verità non può essere monetizzata.”

Igor, con la mano sul mento, profondamente riflessivo. “Ma allora, il mercato… non è la verità… Ahi che dubbi atroci mi prendono. Ma cosa credi? Io sono un uomo religioso. Tutte le mattine elevo il mio pensiero e innalzo le mie lodi al dio mercato.”

“Di destra o di sinistra?”

“Con possibili convergenze al centro…”

Le nubi della verità avanzavano senza peso, imprendibili.

Diventare leggera, senza peso, senza essere impacciata di sentimenti, di corpi estranei di bimbi invasori, pieni di pretese.

“Abbiamo il dovere storico di superare il dominio maschilcapitalista sul corpo femminile. Riaffermare la gestione imprenditoriale della base succinta….”

La clinica era chiusa.

Ferree imposte coprivano la spiaggia adiacente. Fulgori silenziosi, invenzioni…

Silenzi… Gloria celeste di astri scarmigliati, confusi. Pietrosi…

Non sapeva dove e quando andare…

 

Ivana guardava il mare accalorato, vedeva morbide lontananze fluttuare.

Mari di roccia scomparire.

Vulcani maestosi emergere. Era tutto così difficile.

 

Ivana ascoltò la morbida curva del ventre e ridusse soffice stoffa ai pallidi steccati della nebbia. Atrofizzati nel pulviscolo fantasticammo sugli albori di pietra ai passi stanchi.

Non c’era più nessuno sulle soglie.

Questo bastava.

Ivana percorse i sentieri, attraversò gradini di pietra e finì per incespicare laddove la pietra degradava. Qualcosa sussultò in lei, e un morbido lamento si diffuse…

Igor scomparve ma un giorno Ivana ebbe notizia di lui. Era in un paese lontano sulle rive di un mare dove Atlantide si era persa. La invitava ad un matrimonio del cielo, a far l’amore in un aeroplano. Si sarebbero incontrati nei corridoi di uno scalo misterioso.

 

Passarono giorni afosi e Ivana salì le scalette per l’imbarco. L’aereo s’impennò nel cielo.

Addio monti sorgenti dall’acque ed elevati al cielo; cime ineguali, note a chi è cresciute tra voi, e impresse nella sua mente; non meno che lo sia l’aspetto de’ suoi più familiari; torrenti de’ quali distingue lo scroscio, come il suono delle voci domestiche; ville sparse e biancheggianti sul pendìo, come branchi di pecore pascenti; addio! Lo so, questo è già stato scritto da Alessandro Manzoni nel suo romanzetto, ma come potevo io dirlo meglio?

Addio cieli aperti e chiusi, dove una vita si svolgeva inconsapevole, finché non giunse un’altra vita a risvegliarla. Finché il tremito di un corpo non parlò di un altro mondo, dentro di sé e infinito come il cosmo. Addio, arie deterse e affumicate, cieli logori nella dimenticanza….

E le contraddizioni in seno al popolo proletario smorivano nei colori tenui dell’alba, e l’internazionalismo ebbe il luccichìo della fiaba oltre gli orizzonti.

Così Ivana correva nel suo matrimonio del cielo, in compagnia di un bimbo da scoprire, tra gli addentellati e le pieghe delle ore e dei pasti fuggitivi dell’aeroplano.